Passando vicino al Sole il 28 novembre, si è disintegrata, lasciando solo un frammento del nucleo e una nube di vapori (foto). Nel transitare a 1,2 milioni di chilometri dalla superficie solare, ha attraversato la “corona”, un ambiente molto rarefatto ma con la temperatura di milioni di gradi. Troppo per un fragile iceberg arrivato dalla Nube di Oort, quell’insieme di miliardi di nuclei cometari che avvolge il Sistema solare fino a due anni luce da noi.
Il frammento superstite è certamente molto piccolo, considerando che già il nucleo intero aveva un diametro di appena 1,5 chilometri. Se anche vivrà ancora, non possiamo attenderci una resa spettacolare.
In definitiva la ISON ha soltanto confermato una vecchia nozione: che sulle comete non è possibile fare previsioni, fanno quello che vogliono...
E’ comunque interessante sapere, a questo punto, che intorno al 12 di gennaio 2014 la Terra attraverserà una scia di piccolissimi detriti lasciati dalla ISON sulla sua orbita mentre si avvicinava al Sole. Non sarà, pare, una pioggia di meteore. I detriti misurano qualche millesimo di millimetro, e scenderanno al suolo come una rada e finissime nevicata. Solo qualche sporadico frammento un po’ più grande potrà ardere nel cielo.
A scoprire e dimostrare il rapporto tra le comete e le meteore o “stelle cadenti” fu Giovanni Virginio Schiaparelli, astronomo nato a Savigliano e poi diventato direttore per alcuni decenni dell’Osservatorio di Brera a Milano. L’interesse per questo tema di ricerca risale addirittura all’infanzia dell’astronomo: “Di un tratto si spiccò una stella cadente; poi un’altra; poi un’altra. Alla mia domanda cosa fossero, egli rispose che queste cose le sapeva soltanto Domeneddio. Io tacqui ed un confuso sentimento di cose immense e di cose adorabili si impadronì di me.” Così Schiaparelli ricorda la prima osservazione di uno sciame meteorico, avvenuta all’età di quattro anni tra le braccia del padre.
Schiaparelli nacque nel 1835, divenne direttore dell’Osservatorio di Brera nel 1862 e morì a Milano nel 1910, l’anno in cui si ripresentò la cometa di Halley, che ha un periodo di 76 anni. Sull’origine delle meteore fino all’epoca di Schiaparelli convivevano le ipotesi più diverse e chiaramente infondate e stravaganti. C’era ancora chi sosteneva, per esempio, l’idea che le stelle cadenti potessero essere perturbazioni atmosferiche, fuochi fatui o esalazioni del suolo terrestre salite ad alta quota. Per gli astronomi Pierre Simon Laplace e Heinrich Wilhelm Olbers, due scienziati importanti e famosi, si trattava addirittura di eruzioni di vulcani lunari.
Nell’agosto 1866 Schiaparelli osservò le “lacrime di San Lorenzo”, ovvero lo sciame di stelle cadenti chiamate Perseidi. Ricostruendone l’orbita, e assumendola parabolica, arrivò a dimostrare la coincidenza tra l’orbita dello sciame e quella della cometa Swift-Tuttle, da lui osservata pochi anni prima, nel 1862.
Pochi mesi dopo, nel novembre 1866, Schiaparelli ritrovò la medesima relazione tra lo sciame delle Leonidi e la cometa Temple-Tuttle, che proprio in quell’anno brillava in cielo. L’anno seguente pubblicò i suoi risultati, che gli fecero vincere il prestigioso Premio Lalande dell’Accademia delle Scienze dell’Istituto di Francia, la medaglia d’oro della Royal Society, quella della Società Italiana dei XL e quella della Imperiale Accademia Tedesca Leopoldina Carolina dei Naturalisti.
Derivate da quei fantasmi che sono le comete, le meteore, anche le più luminose, sono a loro volta fantomatiche: ciò che vediamo è l’alta atmosfera ionizzata lungo il percorso del frammento di cometa; il frammento in sé, misura appena qualche millimetro.
di PIERO BIANUCCI
dal sito :www.lastampa.it
di PIERO BIANUCCI
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