Metempsicosi
letteralmente significa “trasferimento di anime” ed è un termine
correlato al processo di reincarnazione. Viene spesso chiesto:
“Perché la reincarnazione fino a poco tempo fa era sconosciuta in
Europa e perché il Cristianesimo non la insegna?”
Veramente
quest’idea è rintracciabile nelle più antiche tradizioni della
civiltà occidentale tanto quanto era insegnata in tutto l’antico
Medio ed estremo Oriente. E ci sono prove evidenti che davvero
durante i suoi primi secoli, il Cristianesimo impartiva quello che
aveva imparato riguardo la pre-esistenza delle anime e la loro
reincarnazione
Josephus,
lo storico ebreo che visse durante la maggior parte del primo secolo
dopo Cristo, annota nel suo Jewish War (3, 8, 5) e nel suo
Antiquities of the Jews (18, 1, 3) che la reincarnazione era
diffusamente insegnata ai suoi giorni, mentre pure Philo Judaeus, suo
contemporaneo d’Alessandria, in vari suoi scritti si riferisce alla
reincarnazione, in una forma o nell’altra. Inoltre vi sono dei
passaggi del Nuovo Testamento che possono essere compresi solo alla
luce della pre-esistenza delle anime come credo generalmente
accettato.
Per esempio
Matteo (16:13-14) scrive che quando Gesù chiese ai suoi discepoli:
“Chi dicono che io sia?” essi risposero che alcune persone
dicevano egli fosse Giovanni Battista (il quale era stato giustiziato
solo pochi anni prima che la questione fosse posta). Altri pensavano
che egli fosse Elia, o Geremia o un altro dei profeti.
Più tardi
troviamo in Matteo (17:13) che Gesù, lungi dal respingere il
concetto di rinascita, disse ai suoi discepoli che Giovanni Battista
era Elia.
Giovanni
(9:2-4) riporta che i discepoli chiesero a Gesù se un uomo cieco
avesse peccato lui o i suoi genitori dato che era nato cieco. Gesù
rispose che tutto ciò avveniva perché le opere di Dio si
manifestassero nel cieco ovvero perché avesse compimento la legge di
causa ed effetto. O, come si espresse san Paolo al riguardo: “Si
raccoglie quello che si semina”. L’uomo cieco non poteva avere
piantato i semi della sua cecità in questa vita, ma l’avrà fatto
in una precedente.
I primi
cristiani, specialmente coloro che erano membri di una delle sette
gnostiche come i Valentiniani, gli Ofiti e gli Ebioniti, includevano
la reincarnazione tra i loro insegnamenti più importanti. A loro
parere essa consentiva il compimento della legge – karma – tanto
quanto forniva all’anima i mezzi per purificarsi dalle torbide
caratteristiche che risultavano dalla sua immersione nella materia e
dall’egoismo che abbiamo sviluppato nei primi stadi del nostro
viaggio sulla terra.
Dopo le
generazioni iniziali di cristiani, troviamo i primi Padri della
Chiesa, come Giustino martire (100-165 d.C.), san Clemente
Alessandrino (150-220 d.C.) e Origene (185-254 d.C.), che insegnavano
la pre-esistenza delle anime, abbracciando la reincarnazione o uno
degli aspetti della rinascita. Esempi di questo si trovano nelle
opere di Origene, in special modo nel Contra Celsum (1, XXXII), dove
egli chiede: “Non è razionale che le anime debbano essere
introdotte in corpi secondo i loro meriti e azioni precedenti…?”
E nel De
Principiis afferma che l’anima non ha inizio né fine. San Gerolamo
(340-420 d.C.), traduttore della versione in latino della Bibbia,
conosciuta come laVulgata, nella sua Lettera a Demetria, una matrona
romana, afferma che alcune sette cristiane del suo tempo insegnavano
una forma di reincarnazione come dottrina esoterica, impartendola a
pochi, “come una verità tradizionale che non doveva essere
divulgata”.
Anche
Sinesio, (370-480 d.C.), vescovo di Tolemaide insegnava lo stesso
concetto e, in una preghiera che è giunta fino a noi dice:
“Padre
concedi che la mia anima possa fondersi nella luce e che non sia
respinta nell’illusione materiale”. Altri suoi Inni, come il
numero 3, contengono frasi che riaffermano chiaramente il suo punto
di vista e che supplicano che egli sia così purificato da rendere
non più necessaria la rinascita sulla terra. In una tesi sui sogni
Sinesio scrive: “E’ possibile, per l’anima immaginativa, grazie
al tempo e al lavoro e ad una transizione in altre vite, emergere da
questa oscura dimora”. Questo passaggio ci ricorda i versetti
dell’Apocalisse di Giovanni (3:12) con il suo linguaggio simbolico
iniziatico che porta a: “Il vincitore lo porrò come una colonna
nel tempio del mio Dio e non ne uscirà mai più”.
A questo
punto dobbiamo ricordare quel che accadde dopo che Costantino
dichiarò il Cristianesimo religione di stato dell’impero romano.
La chiesa dimenticò l’ingiunzione di dare a Cesare quel che è di
Cesare e si lasciò coinvolgere nell’amministrazione del regno di
Cesare – l’arena politica. Il suo destino si legò così a quello
dell’impero stesso e ai suoi sovrani.
Le svariate
differenze tra gli insegnamenti nelle sette cristiane del quarto
secolo erano parallele ai disordini che scoppiavano nelle province
sotto il governo di imperatori poco energici, cosicché nel momento
in cui Giustiniano prese l’incarico nel 527, ebbe seri problemi.
Egli lavorò disperatamente per riunificare l’impero in rovina
procedendo su due direttrici: da una parte il suo sforzo fu di
guidare il suo esercito contro gli stati più piccoli all’interno
del fold più grande; dall’altra impose un canone uniforme di
credenze, al quale ci si doveva attenere strettamente. Teologo non
disprezzabile egli stesso, lanciò una campagna contro le credenze
dei cristiani nestoriani e altre minoranze e per fare questo dovette
aggirare la decisione del Concilio di Chalcedon (451). Egli ordinò a
Menna, patriarca di Costantinopoli, di convocare un sinodo locale o
provinciale per affrontare il problema e venire incontro alle
richieste di vari uomini di chiesa che si opponevano a certi
insegnamenti, inclusi quelli di Origene sulla pre-esistenza delle
anime.
Il sinodo
locale accettò l’interdizione formulata da Menna, ma questo non
sembrò ottenere grandi risultati. Dieci anni più tardi Giustiniano
convocò il quinto Concilio di Costantinopoli, conosciuto anche come
Secondo Concilio Ecumenico, ma questa definizione è sbagliata. Fu
presieduto dal patriarca effettivo di Costantinopoli, Eutichio, alla
presenza di 165 vescovi. Papa Virgilio era stato convocato
dall’imperatore ma si oppose al Concilio e si rifugiò in una
chiesa di Costantinopoli; non fu pertanto presente alle
deliberazioni, né vi fu rappresentato.
Il Concilio
redasse una serie di anatemi, 14 secondo qualcuno, 15 secondo altri,
diretti principalmente contro le dottrine di tre “scuole” o
“eresie”, i cui documenti divennero noti come “I tre capitoli”.
Solo questi atti vennero presentati al papa per la sua approvazione.
I papi successivi, incluso Gregorio Magno??? (590-604), mentre
trattavano le faccende emerse dal quinto Concilio, non fecero
riferimento alcuno alle idee di Origene. Tuttavia Giustiniano impose
l’accettazione delle decisioni di quella che sembrava essere stata
semplicemente una sessione extra conciliare, facendo sembrare che
avesse approvazione o sanzione ecumenica. Quello che ci interessa qui
è che gli ecclesiastici che si opponevano agli insegnamenti di
Origene, soprattutto a quello che riguardava la pre-esistenza delle
anime, si procurarono una condanna ufficiale, che cercarono di
rendere obbligatoria.
Sebbene
Gregorio Magno non facesse riferimento alcuno ad Origene quando
intraprese i lavori del Quinto Concilio, accettò la tendenza alla
codificazione del credo cristiano che si era sviluppato durante il
quinto ed il sesto secolo, ed affermò perfino di aver “riverito”
le conclusioni dei primi quattro Concilii, tanto quanto quelle dei
quattro Vangeli!
Dal punto
di vista dell’insegnamento pubblico l’idea della reincarnazione
scomparve dal pensiero europeo dopo il sinodo provinciale del 543 e
il Quinto Concilio del 553 – e questo adducendo come motivo il
fatto che fosse in conflitto con un’appropriata comprensione del
concetto di redenzione.
Malgrado
gli anatemi, l’influenza di Origene continuò salda nei secoli,
portando dritti i Cristiani verso Massimo da Tiro (580-662) e
Giovanni Scoto Eriugena (810-877), il monaco irlandese immensamente
erudito. Tale influenza raggiunse perfino figure relativamente più
recenti come san Francesco d’Assisi, fondatore dell’Ordine
Francescano (1182-1226) e san Bonaventura, il dottore “serafico”
(1221-1274), che diventò cardinale e Generale dei Francescani.
Perfino un teologo come san Gerolamo disse di Origene che fosse “il
più grande insegnante della Chiesa primitiva dopo gli Apostoli”.
Tranne le
sette cristiane come i molto diffusi Catari, che comprendevano gli
Albigesi, i Valdesi e i Bogomili, individui isolati come Jacob
Boehme, il mistico protestante tedesco, Joseph Glanvil, il cappellano
del Re Carlo II d’Inghilterra, il reverendo William Law, William R.
Alger e molti ecclesiastici moderni, Cattolici e Protestanti, hanno
appoggiato il concetto di reincarnazione sia sul piano logico che su
altri piani. Henry More (1614-1687), il noto pastore della Chiesa
d’Inghilterra e celebre neoplatonico di Cambridge, scrisse nel suo
lungo saggio “L’Immortalità dell’Anima” uno studio
considerevole e completo su questo tema, con risposte convincenti
alle critiche sulla pre-esistenza.
Come disse
More nel suo saggio sopra citato, “non c’è mai stato alcun
filosofo che abbia parlato di un’anima spirituale ed immortale, che
non ne sostenesse anche la pre-esistenza”.
L’opposizione
generale dei teologi nell’ultimo secolo sta venendo meno, dal
momento che i loro successori hanno assunto un atteggiamento più
aperto al riguardo. Sacerdoti di confessioni diverse stanno
cominciando ad avallare i vecchi insegnamenti riguardo alla
pre-esistenza dell’anima, la sua trasmigrazione in generale e la
reincarnazione in particolare. Se ne sta parlando in modo più ampio
di quanto non sia stato fatto per secoli, e lo scherno iniziale,
basato sul fraintendimento della trasmigrazione, ha lasciato il posto
ad un’indagine più seria.
Una delle
tesi più comuni contro l’idea della reincarnazione è che non
ricordiamo le nostre esistenze passate. Ma c’è una memoria diversa
da quella cerebrale. Certe abilità o la capacità di fare o di
capire certune tematiche o attività spesso evidenti nella prima
infanzia, sicuramente indicano una reminiscenza di familiarità
passate. Importa qualche cosa che nome avesse un certo personaggio se
la caratteristica espressa attraverso quella vita continua nella
presente, modificata secondo il genere e l’intensità del
precedente periodo di auto-espressione? Spesso consideriamo la vita e
la morte come degli opposti; in realtà la vita è un continuum con
nascita e morte a fare da vie di accesso dentro e fuori alla fase
terrena. Nascita, morte e rinascita – il ciclo si compie e completa
se stesso continuamente finché non ci liberiamo di tutte le scorie
della nostra natura per divenire il puro oro dello spirito.
I.
M. Oderberg
Traduzione
di Patrizia Calvi e Roberta Girardi.
Condensato
da “Sunrise” e tratto dal Theosophical Digest, 2nd Quarter 2005.
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